terça-feira, 15 de julho de 2014

Dopo 45 anni dallo sbarco sulla Luna si punta a Marte

La Nasa celebra i 45 anni dallo sbarco sulla Luna, guardando ai primi uomini su Marte (fonte: NASA



L'impronta del primo uomo sulla Luna si tinge di rosso: il grigio del suolo lunare gradualmente sfuma nella ruggine del suolo marziano nel poster con cui la Nasa celebrare i 45 anni dallo sbarco sulla Luna. Per l'agenzia spaziale americana l'arrivo dei primi uomini sulla Luna con la missione Apollo 11, il 20 luglio 1969, non è soltanto un anniversario storico. E' invece l'occasione per guardare al futuro, con una missione su un asteroide in programma fra il 2020 e il 2030 e l'arrivo del primo uomo su Marte fra il 2030 e il 2040.

Si guarda innanzitutto al programma Orion, la capsula costruita per la Nasa dalla Lockheed Martin e basata sulla navetta automatica Atv (Automated Transfer Vehicles), realizzata dalla Astrium per l'Agenzia Spaziale Europea (Esa). Il primo volo, senza uomini a bordo, è atteso in dicembre e per la Nasa è il banco di prova per testare la tecnologia capace di portare il primo equipaggio umano sul pianeta rosso. Ancora oggi gli Stati Uniti sono decisi a mantenere la leadership conquistata 45 anni fa. Ma questa volta dovranno farlo con la collaborazione dei privati: oltre alla Lockheed Martin ci sono la Orbital, con le navette Cygnus che assicurano i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale, e la Space X, con le navette Dragon.

A differenza di 45 anni fa, per Nasa la Luna non è più l'obiettivo principale, ma l'occasione per sperimentare tecniche per 'navigare' nell'orbita di Marte e delle sue Lune. ''Lo spazio intorno alla Luna - rileva la Nasa - è diverso rispetto alla bassa orbita terrestre'', come quella in cui si trova la Stazione Spaziale. E' invece ''molto simile a quello che una navetta come Orion potrebbe incontrare nel viaggio verso Marte'', con un intenso bombardamento di particelle provenienti dal Sole e dalle profondità del cosmo. La Luna potrebbe infine diventare una ''palestra'' per allenare gli astronauti alle passeggiate spaziali nello spazio profondo, così come ad abituarsi ai ritardi nelle comunicazioni con la Terra imposti dalla distanza.


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Caccia ai gemelli del Sole

Misurata l'età di 22 stelle simili al Sole partendo dalla loro velocità di rotazione (fonte: David A. Aguilar, CfA)


Il Sole ha almeno 22 'gemelli': tante sono le stelle che somigliano alla nostra non solo per massa, temperatura e spettro, ma anche e soprattutto per età. Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters dai ricercatori del centro di Astrofisica americano Harvard-Smithsonian di Cambridge, i primi ad usare in maniera sistematica una nuova tecnica per calcolare l'età delle stelle in base alla loro velocità di rotazione.

Questa metodica si chiama 'girocronologia' e misura il periodo di rotazione delle stelle usando come punto di riferimento le macchie che spesso compaiono sulla loro superficie. Lo spostamento di questi punti scuri attraverso la 'faccia' visibile della stella determina una lievissima variazione della sua luminosità, che può essere apprezzata solo con strumenti molto sensibili. 

Per questo motivo i ricercatori hanno usato il telescopio spaziale Kepler della Nasa, e grazie al suo 'occhio' infallibile hanno scoperto che, mentre il Sole impiega 25 giorni per ruotare su se stesso, le sue 'gemelle' lo fanno in 21 giorni: siccome le stelle rallentano col passare degli anni, un po' come noi umani, allora è possibile dedurre che le 'gemelle' del Sole siano leggermente più giovani della nostra stella, che conta ormai 4,5 miliardi di anni.

''Grazie alle stelle gemelle del Sole possiamo studiare passato, presente e futuro di un Sole lontano come se si trattasse del nostro'', ossserva il coordinatore dello studio, Jose Dias do Nascimento. ''Di conseguenza - aggiunge - anche prevedere come sistemi planetari simili al nostro possano essere influenzati dalla naturale evoluzione delle loro stelle ospiti''.


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Un 'lampo' rivela i segreti delle prime stelle

Giunto a Terra dopo viaggio di 4 mld anni, osservato da italiani

Rappresentazione artistica del lampo gamma GRB 130925A (fonte: NASA/Swift/A. Simonnet, Sonoma State Univ.)


Una delle esplosioni più potenti dell'universo 'fa luce' sui segreti delle prime stelle e conferma quanto gli astrofisici prevedevano da tempo, ossia che erano prive di metalli. Ad analizzarla, sulla rivista The Astrophysical Journal Letters, è il gruppo di ricerca coordinato dall'italiano Luigi Piro, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf-Iaps).

L'esplosione è avvenuta in una galassia lontanissima ed ha prodotto un lampo di raggi gamma che ha impiegato quattro miliardi di anni per raggiungere la Terra e dalla durata eccezionalmente lunga. Indicato con la sigla GRB130925A, il lampo è durato circa sei ore, anziché qualche decina di secondi come i lampi finora osservati, permettendo così agli astronomi di studiarne le proprietà. "Analizzando questo lampo gamma abbiamo avuto la conferma che le prime stelle che si sono formate dopo il Big Bang non avevano metalli'', osserva Piro. "La scoperta - aggiunge - ci fornisce indicazioni su come andare a cercare le stelle nate subito dopo il Big Bang".

A scatenare il lampo è stata l'esplosione di una stella, una supergigante blu, di grandissima massa e con una composizione simile a quella che dovevano avere i primi astri che si sono accesi poco dopo la nascita dell'universo avvenuta oltre 13 miliardi di anni fa.

 Il fenomeno è stato osservato da terra con l'Australia Telescope Compact Array del Consiglio nazionale delle ricerche australiano (Csiro), e dallo spazio, con i satelliti Xmm dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Swift della Nasa, al quale ha collaborato anche l'Italia. "Mettere insieme queste osservazioni è stato determinante per avere una visione completa di questo evento", ha detto Eleonora Troja, del Goddard Space Flight Center della Nasa e coautrice dell'articolo.


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