sábado, 21 de fevereiro de 2009

La più grande catastrofe dello spazio



Il circolino mostra il "bagliore" generato raccolto dal satellite Fermi


Una catastrofe cosmica gigantesca, la più grande e violenta che mai strumenti umani siano riusciti a fotografare fino ad oggi. E la prova dell’accaduto è un potente raggio gamma che l’ "occhio” italiano del satellite “Fermi” della Nasa è riuscito a cogliere e fotografare. I dettagli sono raccontati sulla rivista americana Science ed è la cronaca di un fatto accaduto 12 miliardi di anni fa, ma che il satellite ha visto soltanto ora perché il raggio tanto ha impiegato a percorrere lo spazio che ci separa dal luogo d’origine; una galassia distante 12 miliardi di anni luce. Il lampo battezzato “GRB 080916C” era stato raccolto il 16 settembre scorso «e nel giro di due settimane la scoperta era chiara e definita – nota Patrizia Caraveo responsabile dell’esperimento per l’Inaf, l’Istituto italiano di astrofisica – ma per arrivare alla sua pubblicazione sono stati necessari tutti questi mesi perché sono oltre duecento gli astrofisici coinvolti nell’operazione: numerosi erano i particolari su cui essere d’accordo». La cronaca della catastrofe è raccontata soprattutto dal lampo di radiazione gamma . «Per un paio di minuti, il lampo è stato più luminoso non solo di qualsiasi altra sorgente, ma anche dello stesso universo nella banda dei raggi gamma – precisa Ronaldo Bellazzini, altro responsabile dell’esperimento per l’Infn, Istituto nazionale di fisica nucleare – E nasceva da un getto di materia altamente ionizzato che si è propagato nel cosmo a una velocità prossima a quella della luce, paragonabile a quanto si otterrà nel nuovo acceleratore Lhc di Ginevra». La catastrofe è stata registrata da due strumenti: il GMB, Gamma Ray Burst Monitor americano, ha raccolto prima i fotoni di radiazione X; poi il LAT, Large Area Telescope italiano, i fotoni di radiazione gamma. «Ma fra i due – precisa Caraveo – c’è stato un ritardo di cinque secondi, un tempo significativo per descrivere i processi riguardanti la morte di una stella».

DISTRUTTO UN ASTRO GRANDE CINQUE VOLTE IL SOLE - Il fiume delle radiazioni è scaturito infatti dalla distruzione di un astro la cui massa calcolata era di cinque volte superiore a quella del Sole. Proprio dal violento collasso è zampillata l’energia mentre la stella si trasformava in un buco nero. Ora gli astrofisici dovranno decifrare nei dettagli il significato dei fatidici cinque secondi e quando ci saranno riusciti avranno conquistato un altro tassello nella storia della vita di un astro. Importante in questi casi è intervenire tempestivamente anche con i telescopi a terra per cogliere nella radiazione luminosa ulteriori elementi importanti. «A tal fine sono attive squadre di ricercatori internazionali, 24 ore su 24, per puntare i loro strumenti”, aggiunge Paolo Giommi, responsabile del Science Data Center dell’Asi, l’agenzia spaziale italiana, che ha coordinato la partecipazione al progetto del satellite Fermi della Nasa mentre lo strumento LAT è nato dal coinvolgimento dell’Infn (nei cui laboratori pisani è stato progettato e assemblato) e dell’Inaf. I lampi gamma erano stai scoperti per caso dai satelliti militari americani Vela nella seconda metà degli anni Sessanta mandati in orbita per controllare le eventuali esplosioni atomiche dei sovietici. Tenuti nascosti sino al 1973, da allora è iniziata la corsa a spiegarne l’origine. Il problema non era da poco perché questi Gamma Ray Burst sono i fenomeni più violenti che il cielo offra: nel giro di pochi secondi liberano tanta energia quanta il Sole nell’arco della sua intera vita. Soltanto alla metà degli anni Novanta il satellite italiano BeppoSax dell’Asi, fornisce il primo indizio importante per arrivare alla spiegazione del fenomeno. E le ricerche continuano in una partita USA-Italia che propone grandi sorprese.


Giovanni Caprara
Corriere dela Sera

Keplero va in orbita in cerca dell'altra Terra


Telescopio Kepler


La Nasa sta per lanciare un telescopio che deve trovare nuovi pianeti

di LUIGI BIGNAMI

E' iniziata la caccia al pianeta gemello della Terra. Sta infatti per raggiungere la rampa di lancio, in Florida, il telescopio della Nasa Kepler. Verrà mandato in orbita il 5 marzo, e allora, salvo imprevisti, prenderà il via una delle missioni più affascinanti della storia dell'astronautica: la ricerca di pianeti simili al nostro che orbitano intorno ad altre stelle. In realtà, gli astronomi ne hanno già individuati 340, ma nessuno di essi ha caratteristiche simili alla Terra e soprattutto su nessuno di essi vi può essere la vita così come noi la conosciamo. Sono troppo grandi (il più piccolo è stato trovato dal telescopio spaziale Corot e ha una dimensione di circa due volte la Terra, ma la sua temperatura superficiale è di oltre 1.000°C), oppure sono gassosi o troppo vicini o troppo lontani dalla loro stella per permettere di avere condizioni ideali alla vita. "Kepler invece, si propone di scovare tra le stelle della nostra galassia pianeti rocciosi che orbitano intorno a stelle simili al nostro Sole in un'area ritenuta abitabile. Gli astronomi definiscono "abitabile" una fascia di spazio intorno ad una stella dove la temperatura sia tale da permette all'acqua di scorrere liquida, in quanto quest'ultima è ritenuta indispensabile per originare e mantenere la vita", spiega Jon Morse, direttore della divisione di astrofisica della Nasa. La Terra si trova proprio all'interno della fascia di abitabilità del nostro sistema solare. Il telescopio Kepler getterà il suo occhio tra le stelle per circa 4 anni, scandagliandone grosso modo 100.000, nella regione della Via Lattea nota come Cigno-Lira. Il telescopio infatti, deve puntare il proprio occhio in una regione che sia opposta a quella in cui si trova il Sole, altrimenti rischierebbe di rovinarsi e la regione scelta, che possiede tali caratteristiche, sembra avere anche una concentrazione di stelle simili alle nostre molto elevata. Si ipotizza che a varie distanze dalle proprie stelle-madri siano centinaia i pianeti con dimensioni terrestri. Da uno studio statistico realizzato dalla Nasa risulta che se pianeti di tipo terrestre fossero abbondanti in fasce abitabili, Kepler ne scoprirebbe a dozzine.

Al termine della sua missione potrebbe dare una risposta significativa alla domanda che già si posero gli antichi greci: "Ci sono altri mondi abitabili o il nostro è un'eccezione?". Ma come farà a scoprire tali pianeti? Kepler è stato costruito appositamente per rilevare la periodica diminuzione di luce di un astro che un pianeta extrasolare - che si trova tra la Terra e la sua stella - produce quando gli passa di fronte. La sensibilità delle sue ottiche è tale che il telescopio è in grado di misurare variazioni di luminosità di 20 parti su un milione. Per ottenere una simile risoluzione gli ingegneri della Nasa hanno costruito la più potente macchina fotografica mai lanciata nello spazio: ha una capacità di 95 megapixel (si pensi che le macchine fotografiche professionali non superano i 15 megapixel). "Se Kepler dovesse guardare alla Terra di notte sarebbe in grado di rilevare la diminuzione di luce che una persona produce passando davanti ad una veranda illuminata", dice James Fanson, responsabile del Progetto Kepler. Erano anni che gli astronomi aspettavano il lancio di questa missione perché dalla terra è impossibile, al momento, poter sperare di osservare la diminuzione di luce prodotta da pianeti terrestri quando passano di fronte ad una stella. Kepler invece, potrà farci sognare scoprendo pianeti gemelli della Terra.

La Repubblica
(21 febbraio 2009)

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