HUBBLE LA STAVA ASPETTANDO, e alla fine è arrivata. Si è mostrata di nuovo. Per la terza volta la sua luce è arrivata fino a noi ma questa volta gli scienziati sapevano dove e quando guardare per osservarla. Parliamo di SN Refsdal, una supernova esplosa più di nove miliardi di anni fa, tanti sono gli anni luce che separano la sua galassia dal nostro pianeta. La storia che sta dietro a questo evento è complessa ma racconta di uno dei più affascinanti fenomeni dell'universo: la capacità della gravità di piegare anche la luce, spiegato e verificato grazie alla teoria di Einstein. Teoria che ha appena compiuto un secolo e che ha permesso agli astronomi, per la prima volta, di predire dove sarebbe riapparsa una di queste gigantesche esplosioni, questo tipo di osservazioni, infatti, sono finora sempre state frutto del caso.
La supernova si fa in quattro. Nel novembre 2014 il telescopio spaziale Hubble ha immortalato un effetto ormai conosciuto come "croce di Einstein".Non era mai successo però che venisse osservato per una supernova. Quattro punti luminosi sono apparsi attorno a una galassia ellittica, lontana cinque miliardi di anni luce. Quelle quattro "nuove" stelle non erano altro che l'immagine dello stesso evento, la cui luce aveva preso quattro strade diverse per arrivare fino a noi.
La lente gravitazionale. La responsabile è proprio quella galassia (situata in un ammasso chiamato MACS J1149.6+2223) la cui azione gravitazionale ha deviato la luce della supernova creando questa specie di 'miraggio cosmico'. Refsdal si trovava lì dietro, quattro miliardi di anni luce più lontana, sulla stessa linea dell'osservatore (che siamo noi), perciò dalla Terra abbiamo potuto assistere a questo effetto di "gravitational lensing".
La previsione. La scoperta casuale ed eccezionale ha però avuto un seguito ancora più intrigante. Gli scienziati di Berkeley, infatti, hanno potuto calcolare, con buona approssimazione, quando e dove la luce di quella stessa supernova sarebbe riapparsa. Come rivedere l'evento al replay o, meglio, in differita. A tutti gli effetti un "ritardo del segnale".
Per riuscirci hanno utilizzato sette diversi modelli teorici di quel cluster di galassie responsabile dell'effetto gravitazionale con i dati raccolti da diversi telescopi: Hubble, Vlt, Muse e Keck. Il 'responso' è apparso in uno studio la cui prima firma è dell'italiano Tommaso Treu, pubblicato sul sito del telescopio Hubble a ottobre 2015.
La conferma dall'osservazione. Proprio dalla fine di ottobre Hubble ha ricominciato a scrutare periodicamente quell'angolo di cielo fino a che quello che si attendeva non è accaduto. Refsdal è riapparsa, in un altro punto, nella stessa zona di cielo, l'11 dicembre. La spiegazione sta della diversa distribuzione della massa all'interno di quel cluster, che ne ha deviato la luce attraverso lunghezze d'onda e percorsi differenti, più lunghi, 'piegandola' e indirizzandola verso di noi. Un'altra prova del fatto che la luce ha velocità finita.
C'è di più, i calcoli sono anche risaliti indietro nel tempo. Se avessimo rivolto l'occhio di Hubble sullo stesso punto, avremmo potuto ammirarla per la prima volta nel 1998.
Questo successo apre la strada anche a nuovi studi che riguardano uno degli elementi più misteriosi che compongono l'universo: la materia oscura, grazie al programma di Hubble Frontier Fields, che studia proprio il fenomeno della lente gravitazionale per spingere le nostre osservazioni alle soglie dei Big Bang.
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