quinta-feira, 22 de julho de 2010

Egitto, cratere meteoritico scoperto con Google Earth da una spedizione italiana


L'immagine aerea del cratere Kamil (per cortesia dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia)

Era l’età della pietra, circa 5 mila anni fa, e nell’Egitto meridionale già avanzava il processo di desertificazione, quando un blocco metallico di una decina di tonnellate, poco più di un metro di diametro, piombò dallo spazio sulla Terra e colpì una località che oggi si chiama Kamil, al confine con Libia e Sudan, non lontana da un villaggio neolitico. Gli uomini assistettero atterriti a un’esplosione, al tremore della terra e alla frantumazione del corpo impattante in milioni di pezzi. Sul terreno fumante rimase una buca grande una cinquantina di metri e profonda poco meno di venti: uno dei crateri da impatto che costellano la superficie del nostro pianeta.

CONFERMA - Tutta questa ricostruzione è rimasta ignota fino a pochi mesi fa quando, nel corso di un’esplorazione virtuale al computer con Google Earth, il dottor Vincenzo De Michele, già curatore del Museo civico di storia naturale di Milano, si è imbattuto in una depressione circolare sospetta. Una consultazione con l’astronomo professor Mario Di Martino, dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), poi la decisione di organizzare un’esplorazione sui luoghi del presunto impatto, coinvolgendo ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dell’Università di Bologna, del Museo antartico di Siena e di altri enti scientifici egiziani. Infine l’attesa conferma con il rinvenimento della «pistola fumante»: i frammenti del meteorite ricco di nickel e dei minerali che si formano al tremendo impatto. E giovedì 22 luglio la rivista internazionale Science ha consacrato la scoperta del meteorite di Kamil con un articolo a firma dei numerosi ricercatori italo-egiziani coinvolti (The Kamil Crater in Egypt).

CONSERVATO - Il cratere ha una sua rilevanza scientifica proprio perché è piccolo e ben conservato. Di solito sul nostro pianeta crateri di queste dimensioni sono destinati a essere cancellati dall’erosione e coperti dalla vegetazione in pochi secoli, tant’è che oggi sulla Terra se ne contano solo 15 di diametro inferiore ai 300 metri, contro 176 di diametro maggiore ai 300 km. Invece, nel caso del piccolo cratere Kamil, il contesto desertico ne ha preservato l’integrità, tranne un modesto riempimento con materiale sabbioso. «Ha l’apparenza di un catino circondato dal bordo rilevato, tipico dei crateri da impatto», spiega il dottor Stefano Urbini dell’Ingv, che assieme al collega Iacopo Nicolosi, ha curato i rilevamenti geofisici con apparati Gps, radar a penetrazione, e magnetometri. «Le rocce incassanti, formate da arenarie del Cretaceo, hanno conservato perfettamente le strutture d’impatto, assieme agli abbondanti resti del meteorite metallico e ai minerali dovuti al metamorfismo da shock. Il corpo impattante è stato classificato come un meteorite della famiglia delle Ataxiti, ricco in nickel».



«IL FERRO CADUTO DAL CIELO» - Sarebbe anche interessante, propone Urbini, mettere in relazione la leggenda del «ferro caduto dal cielo», di cui parlano alcuni antichi geroglifici egiziani, con il meteorite di Kamil, ma questo è un compito che spetterà agli archeologi. I rilievi geologici e geofisici hanno permesso pure di risalire alla velocità del meteorite all’ingresso con l’atmosfera, pari a circa 18 km al secondo, e a quella residua al momento dell’impatto, dopo il frenamento esercitato dall’atmosfera: circa 3,5 km al secondo. Tanto bastò perché il«ferro caduto dal cielo» liberasse, un’energia equivalente a circa 20 tonnellate di tritolo. Ma, l’aspetto peggiore dell’impatto fu legato alla frammentazione del meteorite che si comportò come una gigantesca granata militare, generando una pioggia di proiettili incandescenti e taglienti capaci di arrivare anche a un chilometro di distanza. Se c’erano esseri viventi entro quel raggio, nessuno poté sopravvivere.

Franco Foresta Martin
22 luglio 2010
http://www.corriete.it/

Buraco negro no centro da Via Láctea pode ter 'expulsado' estrela da galáxia

Observações com Telescópio Hubble confirmam origem do corpo celeste.   Astro se afasta com velocidade de 2,5 milhões de km/h.

Do G1, em São Paulo


Imagem mostra caminho da estrela, com velocidade de 2,5 milhões de km/h (Ilustração: G. Bacon/Nasa/ESA)

Astrônomos da Nasa afirmaram nesta quinta-feira (22) que a estrela HE 0437-5439, astro com velocidade de 2,5 milhões de quilômetros por hora, foi expulso da Via Láctea após interação com buraco negro gigante localizado no centro da galáxia.

Utilizando o Telescópio Espacial Hubble, os especialistas acreditam que o corpo celeste, um dos mais rápidos já detectados, era integrante de um sistema com outras duas estrelas, desfeito após aproximação com a singularidade no meio da Via Láctea.

A rapidez do astro é três vezes maior que a velocidade do Sol no decorrer da órbita em torno do centro da galáxia.

Buracos negros
Buracos negros são corpos gerados após a morte de grandes estrelas, alguns com milhares de vezes a massa do Sol. Após a explosão das estrelas gigantes, conhecida como supernova, o peso das camadas externas leva à formação de um objeto chamado singularidade, de dimensões ínfimas e com densidade que tende ao infinito.

A gravidade em torno de uma singularidade é tão intensa que nem a luz consegue escapar. Toda informação desta região não consegue ser detectada, uma vez que a velocidade da luz é o limite conhecido para a taxa de deslocamento de qualquer fenômeno.

O buraco negro representa a região em torno da singularidade e a proximidade de estrelas da região pode acarretar destruições ou, como os astrônomos acreditam ser o caso de HE 0437-5439, deslocamentos violentos dos astros.

300 volte il Sole Ecco la stella più grande mai vista

Il potente occhio del supertelescopio Very Large Telescope dell'Eso, ha fotografato R136a1, già ribattezzata la "stella mostro". E' il singolo oggetto astrale più grande mai visto con una la massa pari a circa 265 volte quella del Sole. "E' una incredibile scoperta, perchè la stella misura più del doppio di quello che finora era ritenuto il limite massimo per le stelle super-massive" spiega Richard Parker dell'equipe di astronomi che ha scoperto un intero gruppo di stelle a 22mila anni luce da noi. Questo aglomerato è una specie di "incubatrice cosmica" che cova stelle neonate traendo il materiale dalle nubi di gas e dalle polveri cosmiche.




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