sexta-feira, 24 de setembro de 2010

Blu, rosso e rosa: le aurore di Saturno





ROMA - Blu elettrico, rosa intenso, rosso: le autore di Saturno si trasformano continuamente nell'arco di un'intera giornata, che sul pianeta degli anelli dura 10 ore e 47 minuti. I ricercatori che le stanno studiando, coordinati da Tom Stallard dell'università britannica di Leicester, le hanno presentate a Roma, nel congresso europeo di Scienze planetarie organizzato dall'organizzazione scientifica europea Europlanet con il supporto e il patrocinio dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).

Le immagini delle aurore si devono alla missione Cassini, organizzata dalle agenzie spaziali americana (Nasa), europea (Esa) e Italia (Asi). Sono 1.000, selezionate tra le 7.000 rilevate nelle regioni polari dallo spettrometro Vims (Visual and infrared mapping spectrometer), realizzato in collaborazione fra Asi e Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa. I ricercatori hanno anche elaborato un video nel quale luci e colori dell'aurora di Saturni variano in modo significativo nell'arco di una giornata, quindi per oltre 10 ore consecutive: una durata eccezionale se confrontata con quella dell'aurora sugli altri pianeti del Sistema Solare. La differenza, secondo i ricercatori, dipende dall'angolazione con cui i raggi solari colpiscono il pianeta e dall'orientamento del suo campo magnetico.

"Le aurore di Saturno sono molto complesse e stiamo appena cominciando a capire tutti i fattori che entrano in gioco in questi fenomeni", ha detto Stallard. I dati raccolti finora hanno permesso di capire che le aurore su saturno avvengono in modo simile a quanto accade sulla Terra, dove le aurore sono comuni ai due poli. Anche su Saturno le particelle che compongono il vento solare vengono incanalate dal campo magnetico del pianeta verso le regioni polari, dove interagiscono con le particelle di gas elettricamente cariche negli strati superiori dell'atmosfera, emettendo luce. Su Saturno le luci delle aurore possono essere generate anche dalle onde elettromagnetiche generate quando le lune del pianeta interagiscono con il campo magnetico.

Accelera la fusione nucleare: fra 15 anni energia dalle stelle

ROMA - Gli scienziati della fusione nucleare stanno per imprimere un colpo di acceleratore ai loro esperimenti e si pongono un ambizioso traguardo: dimostrare entro il 2026 che i processi energetici del Sole e delle stelle potranno essere utilizzati sulla Terra per alimentare i crescenti bisogni di energia delle nostre società.

Il nuovo impegno, e le tappe per raggiungerlo, ci vengono illustrati dal professor Francesco Romanelli, da quest’anno direttore dell’European Fusion Development Agreement (EFDA), il programma comunitario che coordina i laboratori europei impegnati in studi teorici e sperimentali sulla fusione nucleare. Romanelli, che dirige anche il Joint European Tokamak (JET), attualmente la maggiore macchina per esperimenti sulla fusione, collocata a Culham, in Inghilterra, in questi giorni è fra i protagonisti di Frascati Scienza, un vero e proprio festival che vede sfilare per una settimana, dal 18 al 26 settembre, i grandi protagonisti della scienza nazionale e internazionale, con un fitto programma di conferenze, mostre e visite guidate ai laboratori sparsi nella vasta area scientifica a sud di Roma.

«Ce la stiamo mettendo tutta per accelerare i nostri programmi e consegnare al mondo entro una decina di anni ITER, il reattore che dovrà dimostrare la fattibilità scientifica della fusione nucleare, aprendo la strada ad altri impianti che sfrutteranno la stessa tecnologia per produrre energia elettrica da immettere nella rete», annuncia Romanelli.

ITER, la cui costruzione è già iniziata a Cadarache, in Francia, è un progetto internazionale sottoscritto da Europa, Stati Uniti, Cina, Russia, India, Giappone e Corea del Sud. Quest’anno, dopo una pausa di riflessione dovuta al fatto che i suoi costi di realizzazione sono lievitati, passando da 5 a 10 miliardi di euro, di cui circa la metà a carico dell’Europa (e circa 600 milioni in capo all’Italia), i promotori si sono impegnati a superare gli indugi e ad andare avanti con maggior lena, nella speranza di fornire entro questo secolo un valida soluzione dei problemi energetici planetari, con una fonte di energia praticamente illimitata e relativamente pulita.

La fusione, infatti, sfrutta l’enorme energia che si libera quando nuclei di atomi leggerissimi come il deuterio e il trizio (parenti stretti dell’idrogeno), sottoposti ad elevate temperature, fondono. Il processo, pur essendo accompagnato da una consistente attivazione neutronica dei materiali del reattore, tuttavia non produce rifiuti radioattivi di lunghissima vita (decine di migliaia di anni) tipici degli attuali reattori a fissione nucleare. ITER, spiega il professor Romanelli, si basa sul cosiddetto, «confinamento magnetico» già sperimentato da diverse macchine di piccole e medie dimensioni in vari Paesi, fra cui l’Italia. Una miscela di deuterio e trizio, destinata a essere riscaldata fino a diventare un «plasma» a 100 milioni di gradi, è ingabbiata in una camera di acciaio a forma di ciambella, del diametro di circa sei metri . Poiché nessun contenitore metallico potrebbe resistere, il plasma è tenuto sospeso e stretto in un intenso campo magnetico, generato da potenti bobine, in modo da minimizzare il contatto con le pareti della ciambella.

Romanelli riassume così la cronologia dei prevedibili risultati, ormai a portata di mano: «Il reattore ITER dovrebbe essere completato entro il 2019, quindi iniziare a funzionare, per alcuni anni, con il solo idrogeno, però senza produrre energia di fusione. Nel 2026 sarà introdotta la più efficiente miscela di deuterio-trizio e, l’anno dopo, dovrebbe essere raggiunto il fondamentale traguardo di ottenere 500 megawatt di potenza, cioè dieci volte più energia di quella impiegata per sostenere il processo di fusione che si auto sostiene. Ma non è finita. Il passaggio da ITER a reattori dimostrativi in grado di fornire elettricità, che saranno realizzati parallelamente in diversi Paesi, potrà avvenire rapidamente se la ricerca su ITER avrà, come crediamo, successo e si investiranno sufficienti risorse nello sviluppo dei materiali per il reattore».

Questi risultati, aggiunge lo scienziato, saranno anche il frutto di numerosi esperimenti «di accompagnamento» da attuare in diversi laboratori. La macchina JET, per esempio, che si è già avvicinata alle condizioni di pareggio di potenza, dovrà ripetere nel 2014 questa performance, utilizzando nella camera di contenimento del plasma dei materiali di berillio-tungsteno che poi verranno utilizzati in ITER. Anche in Italia, nei laboratori ENEA di Frascati, è prevista la costruzione di un tokamak che dovrà esplorare il comportamento del plasma in condizioni estreme.

«Sono fiducioso che, poco dopo la metà del nostro secolo, la prospettiva dell’energia da fusione diventerà percorribile, naturalmente se i governi continueranno a sostenerci con convinzione –conclude Romanelli–. Basti pensare che il mercato europeo dell’energia assorbe oggi 700 miliardi di euro all’anno. Mentre alla ricerca energetica, di qualunque tipo, vengono destinati solo 2 miliardi di euro all’anno. Una cifra ben modesta se si considera l’importanza strategica del settore».

Franco Foresta Martin
http://www.corriere.it/

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